Il Telepass non è uno strumento di controllo difensivo in senso stretto e non è nemmeno “neutro” per quanto riguarda le informazioni che può fornire sugli spostamenti effettuati da un dipendente. Di conseguenza l’utilizzabilità di queste ultime, da parte del datore di lavoro, è soggetta agli obblighi di adeguata informazione preventiva al dipendente prevista dall’articolo 4, comma 3, dello statuto dei lavoratori.
Così ha deciso la Corte di cassazione, con l’ordinanza 15391/2024, in relazione al caso di un dipendente, con mansioni di tecnico trasfertista, che è stato licenziato a seguito di talune mancanze, a lui imputabili, emerse dai dati acquisiti tramite la geolocalizzazione del computer fornitogli in dotazione nonché del Telepass installato sull’autovettura aziendale utilizzata per lo svolgimento delle proprie funzioni.
La Corte di merito, riformando la sentenza di primo grado, aveva accolto la domanda di impugnazione del licenziamento promossa dal lavoratore, ritenendo insussistenti gli estremi del giustificato motivo soggettivo. E ciò, in particolare, sulla base del fatto che – avendo la società fornito al dipendente le informazioni richieste dall’articolo 4, comma 3, dello statuto dei lavoratori con riguardo al solo computer aziendale – «non potevano avere alcun rilievo a fini disciplinari» i dati acquisiti per mezzo del Telepass, né le violazioni risultate dalla geolocalizzazione del computer erano «tali da configurare un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali».
La decisione è stata quindi impugnata dalla società datrice di lavoro dinnanzi alla Suprema corte, sulla base, tra l’altro, della ritenuta sottrazione dello strumento del Telepass – in quanto mero «strumento di pagamento alternativo al rimborso spese a piè di lista» – a qualsivoglia «disposizione normativa, tantomeno quelle poste a tutela dei dati personali degli interessati», dati peraltro ricavati dalla fattura mensile redatta da terzi.
La Corte di cassazione, di contro, esclude che il controllo a distanza sull’attività del lavoratore che deriva dai dati dei transiti registrati dal Telepass possa rientrare nell’ambito della categoria, di creazione giurisprudenziale, dei “controlli difensivi in senso stretto” che non richiedono una previa e adeguata informativa, in quanto trovano giustificazione nella presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito al cui sorgere sono subordinati. Nel caso specifico, infatti, chiarisce la Corte, «non emerge assolutamente» che la società datrice di lavoro «avesse allegato e chiesto di provare le specifiche circostanze che l’avevano indotta ad attivare quel controllo tecnologico».
Ne deriva – conclude la Corte – che lo strumento del Telepass, «così contestualizzato», rientra a tutti gli effetti nell’ambito applicativo dell’articolo 4, comma 2, dello statuto dei lavoratori, con la conseguenza che le informazioni raccolte per suo tramite sono utilizzabili solo «a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli, oltre che nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196».
Fonte: Il Sole 24 Ore – di Angelo Zambelli
Fonte articolo: FederPrivacy