Il controllo sulla posta elettronica aziendale deve rispettare i diritti del lavoratore

Il sistema italiano di posta elettronica certificata (PEC), già conforme sostanzialmente agli standard comunitari, necessita di alcuni adeguamenti che lo faranno traghettare verso la PEC europea (detta anche REM). Vediamo come funziona, le caratteristiche e le evoluzioni in ambito Ue.

La posta elettronica (e-mail), sfruttando in maniera elementare il progresso raggiunto dall’evoluzione delle comunicazioni telematiche, è stata una rivoluzione nel sistema di trasmissione e ricezione di messaggi.

Il mercato ha immediatamente approfittato della “scoperta” e ha progressivamente abusato del mezzo, soprattutto perché il sistema di comunicazione non solo non richiede la autenticazione dei mittenti, ma permette anche di camuffare l’indirizzo mail di partenza, per cui quando riceviamo una mail da pippo@mail.it, il vero mittente potrebbe essere pluto@mail.it, che ha modificato il suo nome.

La Posta Elettronica Certificata (nota anche come PEC), ha tentato di risolvere questo problema, realizzando anche un sistema legale che certifica sia l’avvenuta spedizione che l’avvenuta consegna del messaggio di posta elettronica. La PEC ha soppiantato progressivamente il sistema tradizionale delle raccomandate cartacee con avviso di ricevimento, però a molti è sfuggito che la PEC di per sé non certifica l’autore del messaggio inviato, ma solo l’avvenuto invio e l’avvenuto ricevimento tramite il provider che interviene come intermediario del servizio.

Il sistema italiano di PEC, comunque conforme sostanzialmente agli standard europei, necessita di alcuni adeguamenti che lo faranno traghettare verso la PEC europea (detta anche REM); il principale accorgimento sarà l’adeguamento all’EIDAS con l’inserimento dell’accertamento della identità del mittente e del destinatario dei messaggi di posta.

Un problema che incontriamo nell’uso quotidiano è la difficoltà di intercettare l’esatto indirizzo PEC del nostro destinatario. Vediamo quali sono gli strumenti a nostra disposizione.

 

La PEC è il domicilio digitale delle imprese e dei professionisti: dove cercarlo

L’indirizzo di PEC è stato assunto come domicilio digitale dei professionisti, delle imprese e degli enti pubblici. Ciò ad opera dell’articolo 6 del decreto Legislativo 82/2005 (Codice dell’amministrazione Digitale) che così prevede: “Le comunicazioni tramite i domicili digitali … trasmesse ad uno dei domicili digitali … producono, quanto al momento della spedizione e del ricevimento, gli stessi effetti giuridici delle comunicazioni a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno ed equivalgono alla notificazione per mezzo della posta salvo che la legge disponga diversamente”.

La normativa relativa al domicilio digitale dei cittadini e delle imprese ha previsto l’obbligo, con decorrenza 1° ottobre 2020, di iscrizione presso il registro delle imprese dell’indirizzo di posta elettronica certificata delle imprese individuali e delle società. Per i professionisti è stato previsto che l’obbligo di rendere pubblico il domicilio digitale sia attuato tramite gli ordini professionali di appartenenza.

Sotto il profilo disciplinare, è stato previsto che per le imprese già iscritte al registro delle Imprese, la omessa comunicazione dell’indirizzo di PEC comporta la irrogazione di sanzioni amministrative fino ad un massimo di 2.064 euro, da un minimo di 206 euro ad un massimo di 2.064 euro per le società, con pagamento in forma ridotta di euro 412 e da un minimo di 30 euro ad un massimo di 1.548 euro per le imprese individuali con pagamento in forma ridotta di 60 euro. Per i professionisti è stato previsto che la omessa comunicazione del domicilio digitale all’albo o elenco di appartenenza è addirittura prevista la sanzione della sospensione dal relativo albo o elenco fino alla comunicazione dello stesso domicilio, previa diffida ad adempiere nel termine di 30 giorni.

 

Chiarito nelle grandi linee il contesto tecnico e normativo, vediamo dove e come reperire l’indirizzo di PEC o del domicilio digitale.

Le possibilità sono svariate.

  1. Nel portale registroimprese.it (https://www.registroimprese.it– Gratuitamente, nella HomePage di www.registroimprese.it, l’utente occasionale può eseguire la ricerca di un’impresa attiva (“Trova Impresa”) e visualizzare, tra le altre informazioni, il suo domicilio digitale / indirizzo PEC.
  2. Nel servizio Telemaco, Ricerca Imprese (Effettuando la ricerca di un’impresa (0,60 €), per denominazione o per codice fiscale/partita IVA, i risultati ottenuti forniscono a video diverse informazioni sull’impresa, tra le quali il domicilio digitale/ indirizzo PEC.
  3. Nel servizio Telemaco, blocco visura “Sede e unità locali” – Individuata la sede legale dell’impresa d’interesse, selezionando “Visure e blocchi” e, subito dopo, il blocco “Sede e unità locali”, al costo di 1€ si può ottenere un documento con molte informazioni sia sulla sede legale sia sulle eventuali unità locali, incluso il domicilio digitale / indirizzo PEC.
  4. Nella Visura camerale – Oltre ai dati specifici riguardanti la sede legale o le unità locali, si ottengono TUTTE le informazioni riguardanti l’impresa, compreso il domicilio digitale / indirizzo PEC, in un documento ufficiale del Registro Imprese.
  5. Nel portale INI-PEC (https://www.registroimprese.it/ini-pec) – Per conoscere i domicili digitali / indirizzi PEC di imprese e professionisti si può accedere gratuitamente al registro INI-PEC del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE).
  6. Nel portale iPA (https://indicepa.gov.it/ipa-portale/) – Per conoscere i domicili digitali / indirizzi PEC delle Pubbliche Amministrazioni è a disposizione l’Indice dei domicili digitali della Pubblica Amministrazione e dei Gestori dei Pubblici Servizi.

 

Cosa succede se gli interessati non aggiornano i loro domicili digitali

Perché il sistema delle comunicazioni/notifiche Stato-privati e viceversa, e privati-privati possa funzionare è necessario che i domicili digitali siano pubblici e, soprattutto, vengano mantenuti attivi. Potrebbe infatti accadere che un indirizzo di PEC, alla scadenza del contratto col provider-gestore, non venga rinnovato dall’imprenditore/professionista, ed in questo caso una eventuale e-mail inviata all’indirizzo di PEC non più attivo non perverrà al destinatario. Il legislatore ha previsto che in questi casi ci sia una procedura specifica grazie alla quale “Il Conservatore dell’ufficio del registro delle imprese che rileva, anche a seguito di segnalazione, un domicilio digitale inattivo, chiede all’imprenditore di provvedere all’indicazione di un nuovo domicilio digitale entro il termine di trenta giorni. Decorsi trenta giorni da tale richiesta senza che vi sia opposizione da parte dello stesso imprenditore, procede con propria determina alla cancellazione dell’indirizzo dal registro delle imprese. … L’ufficio del registro delle imprese, contestualmente all’irrogazione della sanzione, assegna d’ufficio un nuovo e diverso domicilio digitale presso il cassetto digitale dell’imprenditore disponibile per ogni impresa all’indirizzo impresa.italia.it, valido solamente per il ricevimento di comunicazioni e notifiche, accessibile tramite identità digitale, erogato dal gestore del sistema informativo nazionale delle Camere di commercio …”.

Il mittente è comunque posto nelle condizioni di conoscere il mancato recapito della PEC trasmessa. Infatti, la inesistenza o inattività dell’indirizzo di PEC del destinatario impedirà la consegna dal provider di PEC del mittente al provider di PEC del destinatario, e il mittente riceverà un messaggio di mancata consegna. È pertanto molto importante monitorare costantemente gli esiti dei messaggi di PEC inviati per e-mail, soprattutto quando, oltre alla esigenza formale di notifica, vi è l’interesse del mittente a che il destinatario abbia conoscenza del contenuto del messaggio.

 

Servono interventi per assicurare la conoscibilità delle PEC non recapitate

Il sistema delle notifiche a mezzo di posta elettronica certificata si incentra sulla presunzione legale che la regolare consegna / notifica del messaggio di PEC equivalga alla conoscenza del contenuto del messaggio.

All’importanza che il legislatore ha attribuito al domicilio digitale / PEC non corrisponde tuttavia una adeguata tutela per i soggetti trasmittenti. La momentanea indisponibilità di un indirizzo di PEC a ricevere messaggi può infatti essere dovuta a fattori anche banali ed assolutamente involontari: si immagini fra tutti quello del mancato pagamento dell’abbonamento per il rinnovo della casella, oppure il riempimento della casella non tanto per trascuratezza, ma anche per l’arrivo di messaggi di PEC particolarmente pesanti in termini di volume di allegati. Superfluo far rilevare che la mancata consegna della PEC ad un indirizzo registrato ma non disponibile genera gli stessi effetti della notifica, senza però avere il rimedio normativo che, in caso di notifica tradizionale, è affidato all’articolo 140 del C.P.C..

Mi chiedo quindi la ragione per cui il legislatore abbia previsto un sistema che crea comunque una zona d’ombra (che va dal momento in cui l’indirizzo di PEC diviene inattivo a quando viene attivata la procedura di deposito presso il cassetto digitale dell’imprenditore) quando avrebbe potuto progettare ab origine un sistema per cui il deposito della PEC non consegnata all’indirizzo esistente presso il registro delle imprese fosse immediatamente effettuato presso il cassetto digitale dell’imprenditore. È evidente infatti come, con l’attuale struttura normativa, il malcapitato che si trova ad avere una PEC inattiva non sarà mai nelle condizioni di conoscere quali e quanti tentativi di recapito delle PEC siano stati effettuati nel periodo di inattività. In considerazione della importanza attribuita dal legislatore al domicilio digitale, non appare opportuno e congruo che l’iniziativa di rilevazione di un indirizzo di PEC inattivo sia affidata al caso (mi riferisco alla possibilità di “segnalazione” di un terzo prevista dalla norma) o alla non meglio regolamentata “rilevazione” del Conservatore. A mio modesto avviso dovrebbero essere i sistemi informatici a rilevare immediatamente la sopravvenuta inattività di un indirizzo PEC e attivare la procedura di emergenza. Ciò potrebbe avvenire – per esempio – anche imponendo agli intermediari dei servizi di PEC l’obbligo di comunicare ai “depositari” degli indirizzi di PEC / domicili digitali, la sopravvenuta interruzione del servizio e la necessaria ed automatica assegnazione del domicilio digitale presso il cassetto digitale dell’imprenditore, assicurandosi tuttavia che non vi sia soluzione di continuità tra la il periodo di funzionamento dell’indirizzo di PEC valido e la funzione di “backup” del “diverso domicilio digitale presso il cassetto digitale”.

Probabilmente tutto ciò sarebbe possibile con un maggiore coinvolgimento degli operatori dei servizi PEC, ma qui ci muoviamo su un terreno accidentato, in cui alcuni interessi delle parti economiche meglio rappresentate potrebbero avere la prevalenza rispetto agli interessi degli “utenti”. Ma non c’è dubbio che un rimedio vada posto con la massima urgenza, considerando le ingiuste e gravi conseguenze che tale pecca potrebbe avere per l’economia nel suo complesso.

Probabilmente il “peccato” è originale: data la obbligatorietà del domicilio digitale, si sarebbe potuta prevedere l’assegnazione di un domicilio digitale “d’Ufficio” da parte del registro delle imprese o dell’Ordine professionale di appartenenza, magari con un canone a prezzo calmierato per la gestione della casella; ma probabilmente oramai siamo andati troppo avanti, e modificare le regole del mercato, assestate su rendite di posizione oramai consolidate da parte dei provider di PEC, sarebbe una strada di difficile accesso.

 

Conclusioni

La PEC è una innovazione italiana, l’esigenza nei paesi stranieri è meno avvertita probabilmente per la conformità del loro sistema giuridico ai fondamenti di common low, caratterizzato ad un attenuato sistema probatorio. Tuttavia, ciò non toglie che la certezza giuridica della notifica di un atto non possa e non debba essere sottovalutata, soprattutto quando da essa dipendono conseguenze anche rilevanti per il soggetto destinatario.

In quest’ottica sarebbe anche opportuno trovare un rimedio alla validità delle PEC nel tempo, considerato che il gestore della PEC è obbligato a conservare per 30 mesi i soli log di invii/ricezioni, che riportano mittente, destinatario, identificativo della mail ed oggetto, ma non il contenuto del messaggio PEC. Quindi, è onere dell’utilizzatore della PEC effettuare una sistematica conservazione dei messaggi. Ovviamente il problema si pone quando si procede alla cancellazione dei messaggi PEC per liberare spazio nella casella. È comunque certo che la maggior parte degli utenti PEC non effettua alcuna conservazione, ed è convinto che la stampa del messaggio possa avere valore giuridico; ma non è così perché la PEC è un documento informatico, a cui si applicano regole di tenuta e conservazione specifiche.

L’evoluzione della PEC in ambito europeo e la sua elevazione a domicilio digitale potrebbero rappresentare l’opportunità per attuare quelle modifiche senza le quali si corre il rischio di fare un passo indietro rispetto alle consolidate prassi del passato, in cui la carta e la posta hanno caratterizzato la redazione degli atti e le notifiche: il progresso non può avere come conseguenza una riduzione dei diritti e delle garanzie.

 

Fonte: AgendaDigitale